Visconti e l’uncanny valley del Boy di ferro

Cosa c’è di meglio che combattere la stasi natalizia supportando la musica indipendente? Hanno scelto di farlo i molti presenti il 27 di dicembre al Ganz of Bicchio di Viareggio, uno dei pochi locali che resiste contro la vacua stanchezza della provincia, accorsi in massa per l’esibizione di Visconti. L’inedito asse Padova – Versilia era stato inaugurato pochi giorni prima col concerto di Jesse The Faccio e verrà rinsaldato il 31 gennaio con l’esibizione dei Vanarin. Questi tre primi appuntamenti, infatti, sanciscono l’inizio della rassegna “Viareggio Sotterranea”, una partnership con l’iconica label veneta Dischi Sotterranei, vero e proprio faro per la musica underground italiana. Se l’appuntamento annuale al CSO Pedro ormai è imprescindibile per moltitudini di fan, questi concerti hanno l’obiettivo di “esportare” il modello virtuoso in altre venue. D’altronde, la provincia si assomiglia un po’ dappertutto.

UN RAGAZZO DI FERRO

Chi ha già avuto modo di vedere il live di Valerio nella scorsa edizione della Festa di Dischi Sotterranei sa perché Boy di Ferro, il suo secondo album, è una delle uscite più interessanti dell’anno appena volto al termine. La seconda prova sulla lunga distanza del polistrumentista di Acqui Terme è un concentrato al vetriolo di contaminatissimo post-punk: le taglienti chitarre elettriche incontrano addirittura i pattern ritmici tipici della breakcore. Il nucleo tematico attorno al quale ruotano i nove brani è la fine di una lunghissima relazione, analizzata e superata terapeuticamente con l’esperienza catartica della musica. Se poi ci mettete che è impossibile non pogare trascinati dal sound granitico della band, capite perché non potete assolutamente perdervi un suo live.

Di questo e molto altro abbiamo parlato direttamente con Visconti dopo il soundcheck nel backstage del GOB. Il musicista è carichissimo ed entusiasta di portare il concerto in luoghi più capillari e con una scaletta più ampia, compatta e coerente con la sua identità artistica attuale. Infatti, rispetto al primo album DPCM uscito durante la pandemia, il polistrumentista è riuscito a scrollarsi di dosso l’ingombrante etichetta “indie”. Aveva la sensazione che il suo debutto desse un’impressione distorta della sua visione, forse dovuta allo scrivere pezzi molto eterogenei tra loro, ma con Boy di Ferro l’intenzione era quella di trovare ancora di più il proprio spazio e autodeterminarsi, allontanandosi contemporaneamente anche dalla relazione di cui canta.

FUZZ, BREAKCORE E ZOOMERGAZE

Ero curiosissimo di indagare le influenze dietro un disco così personale e atipico. Se da un lato c’è la sua palese passione per il punk hardcore più recente, dall’altra non mancano anche derive più weirdo e veloci. Valerio si dice affascinato dalle band che ibridano il punk col revival della rave music e mi cita formazioni zoomergaze quali gli Sword II, i Feeble Little Horse e i Power Plant. Dal punto di vista testuale, invece, il riferimento è Alessandro Fiori per la sua capacità di usare la lingua italiana per evocare immagini limpidissime.

Parlando del (caotico) processo creativo, i brani sono nati partendo dalle strumentali, lavorando come ad una sorta di collage postmoderno. Rispetto al passato, il musicista ha avuto meno libertà nel registrare le demo, vivendo con dei coinquilini a Milano piuttosto che a casa dei suoi genitori in provincia. Gli spunti creativi sono stati catturati nella maniera più rapida possibile, servendosi solamente di suoni digitali e plug-in di base di Ableton. I brani hanno poi preso forma anche grazie all’aiuto di Fight Pausa, fondatore dei 72-Hours Post Fight e già collaboratore dei Post Nebbia in Entropia Padrepio. Le sue esperienze sia nel punk che nell’elettronica si sono rivelate cruciali per plasmare il sound del disco, tanto che Carlo è entrato addirittura nella band come chitarrista.

Uno degli scopi era quello di ricreare a livello sonoro il fenomeno dell’uncanny valley, utilizzando principalmente campionamenti di batteria e ingannando gli ascoltatori sul loro essere realmente suonate da un essere umano. Le chitarre, invece, sono state registrate in linea, ma da spente, ispirandosi molto all’uso del fuzz in All Day Gentle Hold di Porches.

UN ATIPICO BREAKUP ALBUM

Mentre DPCM parlava giocoforza del periodo della pandemia, in Boy di Ferro l’idea è quella di partire dalla propria storia personale per analizzare l’universale, raccontando del crescere e diventare grandi. Dopo la rabbia per la fine della relazione arriva irrimediabilmente un momento di autocontemplazione e Visconti ha cercato di descrivere, in maniera non didascalica, quei sentimenti. Per farlo, ha rinnovato il proprio stile di scrittura, integrando dei neologismi e dei modi di esprimersi collocati nella sottile linea di demarcazione tra la trap e il dadaismo.

Dato che il disco si chiama come il nickname che usava su Minecraft e la copertina ricorda quella di un videogame, ero curioso di conoscere il suo rapporto con questa forma di intrattenimento. Mi rivela di essere un gran fan di giochi di ruolo targati Bethesda come Skyrim e Fallout e che è affascinato dal concetto di dungeon. Sia per la sua natura di profondità da indagare, sia perché è un immaginario che ricorda molto quello di Acqui Terme. Il paese ormai è sprofondato nella tipica decadenza della provincia e le terme una volta in funzione sono divenute una vera e propria città abbandonata, che da adolescente Valerio e i suoi amici attraversavano in cerca di suggestioni paranormali. Mi racconta, addirittura, che sembrerebbe che Aleister Crowley avesse abitato lì per un periodo. Che storia.

Finiamo a parlare del suo rapporto con l’etichetta Dischi Sotterranei, una vera e propria famiglia musicale accomunata dalla voglia di fare qualcosa di nuovo e di riportare al centro il concetto di “scena”. È da lì, infatti, che deriva tanta dell’energia a cui attinge Valerio. I rapporti tra le varie formazioni sono strettissimi: a tal proposito, mi rivela di avere nel cassetto un nuovo progetto intitolato Morbid Cut, un duo synth-punk brutalista con Giulio Patarnello, il tastierista dei Post Nebbia.

there is no alternative

Prima di salutarci parliamo dell’influenza del lo-fi, che, in un modo o in un altro, sembra infestare tutta la sua produzione artistica. Nell’inclinazione per la “bassa fedeltà” c’è sicuramente un aspetto pratico, ovvero quello ricordato poco fa nel distillare un’idea in poco tempo, ma anche una fascinazione per la potenza espressiva della nostalgia. Una sorta di recupero di qualcosa che proviene da un passato idealizzato e che precede la disillusione e il declino tipici dei tempi moderno. Toccando questi temi Valerio cita Adam Curtis, documentarista della BBC nonché una delle principali influenze dietro a Pista Nera dei Post Nebbia. Far parte di una label, dopotutto, vuol dire anche scambiarsi suggestioni extra-musicali.

sentirsi parte di qualcosa

Poco prima di salutarci facciamo il punto sui progetti futuri. Se il nuovo crossover targato Dischi Sotterranei è già pronto, Valerio sta già cercando di scrivere nuova musica. Il suo obiettivo, per il momento, è quello di ristabilire un rapporto più immediato con la forma canzone, cercando di trovare il tempo tra gli impegni come sound designer e quelli come turnista per altre formazioni (Montag e Generic Animal, quest’ultimo atteso proprio nel locale viareggino il prossimo 24 gennaio).

Alla fine, la motivazione del suo fare musica è sintetizzabile, in breve, nel sentirsi parte di qualcosa. Che sia un’etichetta, una scena o un luogo da presidiare contro la frenesia del presente che ci grida che non ci sono alternative allo status quo. Non è cosa da poco.

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La musica e il cinema sono le mie due più grandi passioni: quando scrivo, infatti, mi occupo principalmente di critica in questi due ambiti. Amo il medium radiofonico, al quale presto la mia voce discutendo di dischi ed intervistando gli artisti che stimo di più. Sono anche un musicista: compongo colonne sonore e suono sia la chitarra che il sintetizzatore.