Tutto il mondo dovrebbe lasciarsi ammaliare da Joanita

Molti di voi avranno seguito attentamente l’ultima edizione di Sanremo, magari organizzando serate con gli amici per commentarlo nei minimi dettagli. 

Ma se non sentite il bisogno di questo articolo, forse, avete badato un po’ troppo ai bonus del fanta e alla dizione di Rkomi. Perdendovi la danza sublime di un cigno incantevole: Joan Thiele. Il suo Eco, sul palco dell’Ariston, è stato un miraggio per pochi, un ultrasuono che si è propagato puro e libero verso chi ha avuto la forza di fare silenzio e percepire la timida dolcezza sotto il caos delle luci accecanti e delle risate sguaiate di un pubblico isterico.

E’ stata una gioiosa, quanto folgorante sorpresa, scoprire che la bellezza di Eco non è stato altro che un fugace lampo, che anticipava il tuono maestoso di Joanita. Un album abbacinante, apice di bellezza in ogni suo pigmento. Un lavoro erudito e passionale, in cui la ricerca dell’eleganza estetica, della perfezione dei tratti, non ha minimamente soffocato il fuoco delle emozioni che scuotono e riempiono ognuno dei 14 singoli. 

Tre anni e mezzo

E’ il tempo di gestazione di questa cometa, che squarcia l’orbita della musica pop italiana, diventata ormai una ridondante e arrugginita giostra circolare. Frettolosa di produrre e codarda nel pensiero. 

La produzione di Joanita è invece audace e ambiziosa. Può conquistare un pubblico senza confini, perché i suoni (di cui Joan è stata co-produttrice) raccontano storie vere, di viaggi e case lasciate. Dalla Colombia, all’Italia, da Londra a Los Angeles. Il tutto egregiamente mescolato fino all’ equilibrio. Come in un cocktail perfetto e inimitabile, che ha richiesto anni di tentativi, errori, e una gran dose di testardaggine. 

Le note jazz, soul e le accelerazioni rap si astrano in atmosfere elettroniche dal potere allucinogeno. Questo aspetto onirico mi ha riportato molto ai Temples. Ma c’è un’intimità più viscerale, come se Joan ti prendesse per mano ad ogni passaggio. Senti le pelle tra le dita e lo spazio distorcersi. Ma è dolce, dolce da commuoversi. Dolce da non volersi svegliare.

L’ESSERE DONNA PASSA PER LA LIBERTA’ DI SCEGLIERE COME ESSERLO

L’album è fanciulla, ragazza e donna. Figlia abbandonata e sorella protettiva. La vita di Joanita, nomignolo con cui era chiamata da piccola, scorre come un film che non censura nulla. Ci mostra le paure che l’hanno fatta tremare, l’amore e la rabbia che ha domato per diventare ciò che è oggi. Poi ci sono le presenze e le assenze ingiustificate, che hanno deformato e intricato la crescita dei suoi rami. Ed il morso della passione è sempre presente, carnale e pungente. A volte la ragazza ne è carnefice, a volte vittima. Seduce ed è sedotta, ferisce e perisce. Perché la vita è un gioco di ruoli e per vincere bisogna passarli tutti. 

Il suo racconto ammalia, è così onesto da diventare insolente. Joan lancia la sua sfida, mostrandoci un pieno controllo sul suo mondo. E’ regista, sceneggiatrice e protagonista della propria essenza, ed è proprio in questa volontà di essere, e non, di dover essere, che risiede la sua personale e potente femminilità.

Joanita ci racconta il suo essere donna attraverso la creazione del proprio personale modo di esistere: liquido ed incontenibile. E nella purezza con cui si spoglia di fronte a noi, non perché glielo ordiniamo, ma perché lei ci chiede di guardare, diventa libera.

Dimmi la verità. Che differenza fa essere libera senza la mia libertà

-La forma liquida

UNA MELODIA DI INQUADRATURE STRETTE E FINALI IN DISSOLVENZA

L’amore per il cinema di Joan è lapalissiano e meraviglioso. Infondo come non aspettarselo da un’artista che nel 2023 ha conquistato il David di Donatello per la miglior canzone originale. 

L’album è costruito per essere un film visibile solo ad occhi chiusi. I suoni evocano una trama che scorre incessante da una scenografia all’altra, come un vecchio film d’autore, in cui i silenzi e gli sguardi parlano quanto, se non più, dei dialoghi. 

Le scene romantiche, dove due protagonisti osservano il tramonto inghiottito dal mare, e pronunciano l’ultimo straziante addio ad un amore impossibile. I momenti di tensione di uno stallo alla messicana, e le tinte noir di un poliziesco anni 70’. I richiami e gli omaggi cinematografici di Joan sono brillanti. In particolare, la presenza che arricchisce l’album di un valore inesauribile è quella delle opere del maestro Piero Umiliani, idolo di Joan, uno dei padri del jazz italiano, nonché geniale compositore cinematografico e pioniere di sonorità. Una vera leggenda.

Tutti nel mondo conoscevano il testo Mah Nah Mah Nah prodotto da Umiliani nel 68’. Così nel 70’ la sua etichetta Omicron stampò qualche centinaia di copie del brano con la frase di lancio “Tutto il Mondo canta Mah-Nà Mah-Nà”.

Ora, nel 2025, noi vogliamo scrivere e urlare: “Tutto il mondo dovrebbe cantare Joanita!”

Aspirante giornalista, ma gran potenziale da disoccupato. Nemico giurato del dono della sintesi, ma stiamo trovando un accordo di pace per il bene dei lettori e di chi mi incontra nei pub. Radiohead, Bowie, Lamar, Strokes, Frah Quintale e Charles Aznavour troneggiano imperterriti nella mia playlist, trovate voi un filo conduttore, se riuscite. Diffido da chi non apprezza un buon gin tonic ed il potere rigenerante del latte e menta (entrambi rigorosamente con tanto ghiaccio). Guarda a destra, ora a sinistra. Dietro, e adesso dritto di fronte a te. Sai come si torna a casa tua? No? Ti crea disagio, terrore? No? Bene, sei finalmente libero, ora corri e goditi il mondo, audace fino alla fine.