Pellegrino & Zodyaco, musica dal golfo al mare

Lo scorso gennaio è uscito il nuovo album del progetto Pellegrino & ZodyacoKoinè, proseguendo il viaggio personale in quel suono che lo stesso fondatore del progetto definisce come napoliterraneo, espandendolo con un nuovo capitolo. Abbiamo raggiunto Pellegrino S. Snichelotto per poter parlare con la fonte di questo progetto che, nato dalla mente di un solo produttore, si estende a una moltitudine di contributi umani.

ispirazioni e sonorità

Benvenuto, Pellegrino. Dunque, il tuo ultimo album Koinè è l’ultima tappa di un lungo viaggio musicale che è partito dai tuoi primi anni di Early Sounds, etichetta di cui sei figura centrale, oscillando tra Napoli e Berlino. In che modo, in questi primi tuoi anni, hai costruito il tuo sound? Quali sono state le influenze maggiori?

Non immagino le sonorità di un progetto con stili o generi specifici, ma come una tavolozza di colori che danno vita ad uno scenario. Forse per questo definisco quello che faccio “fusion”. Porta con se il concetto di melting pot sonoro, non fa riferimento ad un genere specifico, è il risultato di un bagaglio di esperienze, passioni, letture ed ovviamente ascolti che partendo dalle proprie radici (geografiche e musicali) nel tempo si sedimentano e si stratificano creando un immaginario estetico e sonoro proprio di quel percorso creativo. In altre parole, un linguaggio che fa riferimento a tutto ciò che in quel bagaglio è stato messo, ovviamente ne è influenzato ma il fine è raccontare qualcosa rielaborandolo in maniera personale.

la band

Il tuo progetto si è ampliato successivamente con l’introduzione di una band live. In che modo è nata la volontà di allargare il campo di sonorità? Quali sono state le sfide che tu, da produttore e responsabile del progetto, hai trovato nel confrontarti con un organico ampio e con la commistione più marcata tra lavoro di produzione e sonorità analogiche?

Quando ho fondato il progetto Zodyaco l’intenzione era quella di proporre una mia visione del suono mediterraneo visto con gli occhi di chi, come me, viveva all’estero (Berlino) da tanto tempo e subiva fortemente la fascinazione nostalgica di “casa” (Napoli). Inizialmente doveva essere un side-project meramente discografico. In Germania gestivo anche una distribuzione di vinili che operava nel mondo e che era una emanazione diretta della mia label Early Sounds ed ero impegnato come dj in giro per l’Europa, quindi mi sembrava un’ottima scusa per fughe verso sud che mi portassero alle pendici del Vesuvio a lavorare in studio con musicisti che avevo coinvolto per questo esperimento. Come tutte le cose fatte con passione il progetto collaterale è diventato prioritario e nel tempo si sono avvicendati tanti musicisti della scena locale.Al momento la band è composta da 8 elementi, senza contare l’entourage che gravita attorno al progetto. La gestione per una realtà indipendente come la mia non è di certo semplice, ma le difficoltà sono ripagate dalla grande soddisfazione che provo nell’avere l’opportunità di lavorare con musicisti di grande spessore.

misticismo mediterraneo

Il concept che sta dietro alle tue uscite assieme a Zodyaco è il misticismo mediterraneo, esplorato attraverso una miscela ben calibrata di groove e rimandi a diverse sonorità. A quali suggestioni fai appello nel legare le culture mistiche dell’area del Mediterraneo, spesso legate alla pratica sonora, alla tua personale estetica?

Le suggestioni predominanti sono i riflessi delle stelle sul mare, inteso come metafora del viaggio, dell’altrove, come mezzo per operare una fuga, anche se solo immaginaria. Poi ci sono piccole istantanee che fanno parte del bagaglio di ricordi di cui sopra. Frammenti di memoria che si mescolano alla storia, alla cultura ellenica ed alle proprie radici. Credo che il punto focale non siano tanto le ispirazioni e le suggestioni quanto la ricerca ed il gusto nello sceglierle e metterle in comunicazione per comporre il mosaico del proprio lavoro.

Il disco viene presentato come un’esplorazione dell’idea di evasione, facendo espresso riferimento all’Elogio della Fuga di Henri Laborit. In che modo hai costruito l’album attorno a queste suggestioni?

“In tempi come questi la fuga è l’unico mezzo per mantenersi vivi e continuare a sognare”, è un gancio, una suggestione che permette di lasciare sempre margine per soddisfare quel bisogno d’altrove che ci spinge a provare qualcosa di diverso. Koinè affonda le radici nel background già trattato con gli altri dischi (Zodyaco I, Morphé, Quimere, Malìa) ma guarda anche al di là. Ho provato ad esplorare ambiti sonori e testuali diversi, in maniera più spontanea, per uscire da schemi già affrontati e forse troppo inflazionati. Tutto questo per una esigenza personale, che per me sono è l’essenza del percorso creativo con la spontaneità e la libertà espressiva. Per chiudere con un’altra citazione: Sembra esserci nell’uomo, come negli uccelli, un bisogno di migrazione, una vitale necessità di sentirsi altrove. M.Y

viaggio musicale

Koinè è un album dalla personalità fresca che riesce a scorrere bene sia nell’ascolto passivo, di sottofondo, che sul dancefloor. Ma tu, personalmente, sia nel fruire la musica altrui che nel concepire la tua, quale tra le due dimensioni prediligi?

Sembrerò di parte nel dirlo ma non riesco a condividere del tutto il concetto di “ascolto passivo”, almeno non nell’accezione contemporanea, quella delle piattaforme digitali di streaming per intenderci. La musica è una cosa seria che va fatta sorridendo e credo che meriti attenzione. Un disco è come un libro, come un film, racconta qualcosa di personale ed intenso, almeno per come lo concepisco io. Ascolto con attenzione tanta musica, in vinile o in streaming e penso sia tragicomica questa fruizione della musica come sottofondo e non come ascolto attivo, a meno che non si parli di Ambient music. Personalmente amo ancora comprare un disco, metterlo sul piatto, sedermi ad ascoltare mentre leggo le note di copertina, anche quello è un piccolo viaggio.

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