
Nervi e le lettere che non abbiamo mai spedito
“Quanto è difficile stare in una grande città
forse va bene abbracciarsi per la paura del freddo.
Allungare la strada per caso, con un motivo preciso
Contarsi le rughe nel viso, trovare per sbaglio un sorriso“
(Quanto è Difficile Amarsi in una Grande Città, dall’album E Poi Svegliarsi Presto)
Giovani scappati di casa per essere liberi. Certo liberi di muoversi in tondo in una cella di sei metri quadrati con letto singolo a cinquecento euro al mese. Un poster del tuo film preferito, le foto degli amici rimasti al paese. Prima ti scrivevano ogni giorno, ora probabilmente scrivono a qualcun’ altro. Hai smarrito i tuoi sogni in qualche traversa di Milano, e girovaghi da solo infreddolito.
Università, cella, lavoro, cella. Dritto in doccia, col soffione troppo basso e un po’ di muffa sul soffitto. Ti vesti sgargiante, non ti piaci, ma non ci fai più caso. Esci e ti lasci assuefare dalla notte. Conosci quei mostri che mamma scacciava via da sotto il letto quando avevi paura. Lasci che infilino le mani sotto la maglia e ti graffino la pelle, pur di sentire qualcosa, pur di avere una prova che sei vivo. Perché solo i vivi soffrono davvero.
Non sai dove dormirai e non ti interessa, perché tanto un posto da chiamare casa non esiste in questa città.
Pur di non rimanere un secondo da soli con i nostri pensieri, nuoteremmo nella lava per sport, ameremmo per noia e berremmo anche il cemento fresco.
E se solo per un attimo smettessimo di distrarci? Se a costo di legarci al termosifone, ci fermassimo un istante a riflettere sul nostro naufragio?
Quante emozioni abbiamo soppresso. Quante volte siamo stati in silenzio con chi meritava una parola?
Nervi ha scritto in quella camera, lontano da casa, tutte le lettere che non abbiamo mai avuto il coraggio di scrivere.
E Poi Svegliarsi Presto, uscito il 29 Settembre per Pioggia Rossa Dischi, è una raccolta di messaggi mai spediti, di un qualsiasi tizio troppo giovane per sapere chi è, e troppo vecchio per non esserne terrorizzato.
LETTERA DAL FRONTE. ANCHE OGGI SIAMO VIVI, MA E’ TUTTO UN CASINO.
“Leonardo hai superato anche l’inverno, e non l’avresti detto”
E’ difficile dire di no ad uscire. E’ impossibile dire di no al secondo, terzo, quarto bicchiere. Più ne prendo, più mi scordo che domani è di nuovo mattina. Il vortice mi ha risucchiato. Ogni tanto mi risputa fuori, giusto il tempo delle 6 ore di turno al negozio. E poi si ricade, in quella isterica routine senza punti fermi, orari umani, rapporti stabili. La commistione paradossale di ripetitività e disordine ti invecchia più della trincea, parola di Leonardo, con occhiaie addosso che hanno 20 anni in più di lui.
“Ma è questa la vita dei sogni? A me sembra l’inferno”
Se qualcuno leggerà questa lettera, mi porti una tisana e la forza di togliere il piede dall’acceleratore. Sì, lo so che non ci sentiamo da un po’, ma vi sto chiedendo aiuto.
Stomale
Stomale
Stomale”

LETTERA AD UN AMORE FINITO.
“Forse siamo solo troppo magri
Non ti ho mai riscritto da quel giorno in cui è finita. Pensavo fosse il capolinea ed invece fu salvezza. Le ferite si sono quasi rimarginate sai? A volte fanno ancora male, ma mi sento più forte. E tu come stai? Spero tu stia mangiando. E che senza di me abbia ricominciato a sorridere. Perché lì fuori sta facendo buio, e farebbe comodo a più di qualcuno quella luce.
Ti chiedo scusa se il nostro amore si è smascherato dipendenza, se l’ossigeno tra le nostre bocche è diventato fumo tossico. Spero tu possa perdonarmi. Ti ho abbandonato sul ciglio della strada come una sigaretta consumata, non per crudeltà, ma perché ormai scottavi troppo sulle dita. Per quanto si amino, ricci e palloncini non possono stare insieme senza ferirsi.
Spero troverai ciò che io non potevo essere, con affetto, sempre tuo…
PS. “Certo si dice sempre che ciò che non uccide fortifica.
Secondo me! Ciò che non uccide prima di tutto ferisce”
LETTERA A MIA MADRE.
“Mi sento in colpa non capisco per cosa
Forse l’assenza, vorrei chiedere scusa
Sì, non mi faccio sentire molto spesso. Ma cosa dovrei raccontarti? Ero un marinaio salpato con una rotta, solo che di terra promessa ancora nessuna traccia. Vago sperduto da porto a porto, da letto a letto, e vedo cose mamma, che non ti piacerebbe leggere. Ormai mi sono insudiciato troppo per tornare nella stanza dei giochi di quel bambino che ha lasciato casa. Non sono adulto né innocente, né carne né pesce…né niente.
Non rispondo alle chiamate perché ho la coda di paglia, come quando da bambino rompevo qualcosa e mi nascondevo in camera. Lo so che ti piacerebbe sapermi un adulto che sa quello che vuole. Ma ti ritrovi a rincorrere un vagabondo cieco che saltella in autostrada. Ti giuro che ne varrà la pena, che troverò la mia isola. Pazienta ancora mamma. Qui vedo un sacco di persone. Molte sono sole, altre sembrano vuote. Alcune bevono e prendono a pugni la strada, come se la città avesse asfaltato sopra il loro amore. Ma non riescono mai ad aprire un varco, si tagliano solo mani e polsi. Mi chiedo se anche loro abbiano avuto una mamma come te.
“la cosa più difficile non è certo partire ma è tornare
È voler fare tardi, esagerare
E poi svegliarsi presto
È voler fare i grandi, e stare bene
Senza mai invecchiare
È voler sceglier tutto e andare avanti,
senza lasciare niente, senza lasciare niente
e poi svegliarsi presto”