Cronache di mantistech vol 3: il regno delle fate imperfette
“CHE COSA TI IMPORTA DI PIU’? SE SONO VIVO O SONO UN TOSSICO? SE SONO VIVO O SONO MORTO?”
MANTISTECH VOL. 3: Sembra la frase scolpita in una lapide nella foresta o magari il coro di un branco di streghe che danzano intorno al fuoco. Invece è il mantra che perseguita Mantisdurante la sua intera metamorfosi nella cristallide. E che ricorda a tutti noi, che evolvere non significa dimenticare il dolore, ma sopravvivergli nonostante tutto.
MANTISTECH VOL 3 non è un album. E’ il viaggio in una selva oscura, che non necessita di regni ultraterreni per risultare divino. Perché l’inferno e il paradiso sono qui sulla terra, mescolati tra loro in un ammasso di sangue, estasi, desiderio e dolore, che li rendono reali e indistinguibili.
I suoni del disco si incarnano in una colonia di fiere e di fate che guidano l’attento ascoltatore negli antri più profondi del Mantistech, il regno nato dall’anima di Mantis e le mani del produttore xx.buio. Puoi esplorare il suo passato, toccarne le ferite, addentrarti nelle dipendenze più malsane. Ma non giudicare, non ti è concesso. Magari ti ci perderai, o potresti anche ritrovartici. Forse una parte di te rimarrà lì dentro, e un pezzo di Mantistech ti seguirà fuori.
L’INTERVISTA TELEFONICA
Ho apprezzato troppo il Mantistech vol. 3 per non intervistarne il creatore. Detto fatto, sono le 16 e attendo che Mantis mi risponda al telefono. Non so che aspettarmi. Immagino una mente indecifrabile. Riuscirò a scioglierne gli enigmi? A decifrarne i codici? Risponde. “Piacere Mirko”, una voce dolce, piuttosto alla mano. Mi crolla subito quell’immagine da Neo di Matrix (ma ancora più cyber punk) che mi ero costruito su di lui.
Ho adorato l’album! Quella somma di techno berlinese, ballad elettronica, rap. Riesce davvero a trasmettere l’idea di un processo continuo, nel quale ogni tappa ha un senso nell’esatto punto in cui si trova.
(ci vado sdolcinato, ma sono cinicamente onesto, giuro)
Lo hai ascoltato davvero?
(Me lo chiede con una tenerezza che esce dalla cornetta e mi stampa un bacio sulla guancia. Il fatto che lo stupisca così tanto che io abbia sentito la sua roba prima di intervistarlo, dice tanto sulla fiducia che l’odierno giornalismo musicale genera negli artisti emergenti. Ma torniamo a noi.)
I primi due pezzi si incentrano sull’immagine di questa cristallide, un bozzolo nel quale chiudersi, me ne parli?
E’ il concept dell’album, rappresenta la metamorfosi. Il chiudersi in sé stessi e scavare a fondo. Volevo raccontare i momenti più bui della mia vita, perché ero arrabbiato. Un anno fa non avevo un soldo, lavoravo tutti i giorni e volevo solo fare musica, così mi sono chiuso in questa cristallide di suoni e ricordi. Non l’ho scelto, ci sono caduto dentro.
Ma dal bozzolo di solito esce una creatura leggiadra, risolta, pronta a volare. Ti senti così al termine di questo processo creativo?
No, il punto dell’album è che questa metamorfosi non arriva a un risultato, non finisce mai. Sono cambiato, ma non mi sento risolto e non ho superato i traumi. Però ho preso coscienza di non averli superati e sono riuscito ad affondarci le mani, a tirarli fuori.
(Mantistech vol. 3 non è l’album di un eroe che, con quel fare paternale alla Superman, ci guarda dall’alto dopo aver risolto i suoi problemi. Nessuna falsa redenzione. E’ il racconto di una farfalla imperfetta, dalle ali deformi. Partorita nel sangue e col dolore. Che vola impacciata nel buio. Vi ricorda qualcosa? A me l’essere umano. Ed è per questo che l’album ha valore.Perché l’arte è tale, solo quando racconta umanità, e non il mito consolatorio assemblato su di essa.)
Chi sono le fate a cui accenni e di cui ci fai sentire la voce nell’album?
Mi piace come immaginario il mondo fatato. In questo viaggio le fate rappresentano sia la guida, che la separazione dolorosa, ma anche il ritrovamento di sé stessi. Diventano simbolo del processo di metamorfosi.
L’ultimo singolo, che chiude il cerchio, è Culla d’oro, che però sembra tutto tranne che un luogo sereno per te. Qual’è la tua culla d’oro?
Culla d’oro parla di Livorno (città dove Mirko ha vissuto fino ai 26 anni ndr). E’ bellissima, c’è il mare. Ma è un posto che mi ha mangiato per troppi anni. Sentivo il bisogno di scappare. Non volevo marcire in quella cazzo di città e aspettare di morirci. Parlarne alla fine dell’album è il simbolo di una metamorfosi mai a compimento, perché comunque non ho ancorasuperato i traumi legati a quel luogo.
Quindi è da Livorno che vengono le esperienze ed il malessere che hai raccontato con la musica?
Sì, una relazione tossica che mi ha svuotato, un rapporto tossico con le sostanze, la rabbia, il bisogno di essere amato ma anche la paura che succedesse. L’album parla di un periodo durissimo dai 26 ai 28 anni, figlio di esperienze vissute a Livorno.
Ma è durante il periodo lì che hai scoperto la cultura techno?
Esatto, è cominciato tutto al Pasquatek (evento rave techno ndr.) del 2019, in una fabbrica abbandonata di Livorno. Cassoni alti 3 metri, mille persone che ballavano. Ho scoperto che mi piaceva ballare, che mi piaceva quella musica che fino a quel momento non avevo mai ascoltato davvero. Amore a prima vista.
La techno è diventata la tua valvola di sfogo?
Per reagire alla rabbia che provavo mi sono buttato nel raving, nelle feste, mi sono innamorato della techno, delle droghe. Mi ha aiutato a sentirmi parte di qualcosa.
(Sarà la noia della piccola città che opprime l’anima. Quella necessità di alienarsi dalla sensazione di marcire. La musica elettronica e l’acid culture come uniche risposte. Ma mi sembra di leggere una novella di Irvine Welsh, sugli schizzati giovani protagonisti di Leith, di cogliere quella saggezza incisa sul fondo di una bottiglia, da cui è sempre difficile risalire. Mantis racconta roba vera, né bella né brutta. Solo incasinata.)
Che differenza c’è tra Mantistech vol. 3 ed i primi due capitoli della saga?
Per me i tre album sono tesi, antitesi e sintesi, di ciò che sono diventato in questi anni. Quest’album è quello più profondo a livello emozionale. Meno tecnica e allitterazioni, più emozioni.
C’E’ ANCHE MENO TECHNO RISPETTO AGLI ALTRI DUE.
Praticamente solo un singolo è techno. E da metà dell’album se noti inizio a cantare, non solo rappare. Mai fatto prima. Anche questa cosa è parte della metamorfosi. Se col volume 1 e 2 le persone si sono convinte che Mantis li faccia solo ballare, con quest’album voglio portare altro.
E cosa vuoi lasciare alle persone?
Voglio che le persone ballino la techno piangendo, rendendosi conto che stanno male, che sono arrabbiati, che c’è qualcosa che non va. Voglio che pensino: devo fare qualcosa.Mi piacerebbe che si sentissero compresi.
E’ venerdì, che fai stasera?
TROPPO STANCO, MISA RIMANGO A CASA SUL DIVANO, TU?
Dai rave al divano. Che amarezza sta’ metamorfosi.
EHI! NAVIGA NEI NOSTRI MEANDRI E SCOPRI DI PIÙ DEL MONDO FELT.
Aspirante giornalista, ma gran potenziale da disoccupato. Nemico giurato del dono della sintesi, ma stiamo trovando un accordo di pace per il bene dei lettori e di chi mi incontra nei pub. Radiohead, Bowie, Lamar, Strokes, Frah Quintale e Charles Aznavour troneggiano imperterriti nella mia playlist, trovate voi un filo conduttore, se riuscite. Diffido da chi non apprezza un buon gin tonic ed il potere rigenerante del latte e menta (entrambi rigorosamente con tanto ghiaccio). Guarda a destra, ora a sinistra. Dietro, e adesso dritto di fronte a te. Sai come si torna a casa tua? No? Ti crea disagio, terrore? No? Bene, sei finalmente libero, ora corri e goditi il mondo, audace fino alla fine.