
Hyperdrama: la visceralità dei justice
GLI EPIGONI DEI DAFT PUNK DIMOSTRANO ANCORA UNA VOLTA CHE FANNO SUL SERIO. E NON POTREBBE ESSERE ALTRIMENTI
IL RITORNO DEI JUSTICE
Sono passati ben otto anni da Woman, terza prova sulla lunga distanza dei Justice. Possono essere ridotti a sei, se ci spingiamo ad includere il relativo live album Woman Worldwide premiato ai Grammy del 2019. La sostanza, però, non cambia: per il panorama discografico contemporaneo è comunque un’eternità, tanto che il ritorno degli alfieri del french touch ha quasi il sapore della reunion anche se la formazione non si è fermata neppure un secondo.
Nel mezzo c’è stato il debutto da solista di Gaspard Augé con le strumentali retrò di Escapades (2021), è vero, ma anche una pandemia globale che ha sicuramente rallentato il battito cardiaco del progetto principale. Ci sono voluti ben tre anni e mezzo per dare la forma definitiva a Hyperdrama, quarto granitico tassello di una discografia quasi immacolata (dopotutto, sono gli epigoni dei Daft Punk, no?) inaugurata con la (ormai) pietra miliare di Cross (2007), arricchita dall’ottimo Audio, Video, Disco (2011) e dalla svolta dance del sopracitato Woman (2016).
Ma, quindi, come suona questo nuovo disco? La risposta si trova nel punto di congiunzione tra l’hardcore e la musica disco dell’ultima prova in studio. L’intento è quello di risemantizzare alcuni dei suoni più ruvidi della techno in una cornice più ballabile ed accessibile. Gettando uno sguardo alla nuova rappresentazione dell’iconica croce scelta come copertina, realizzata da Thomas Jumin, si capisce come questa nuova iterazione dei Justice sia un’entità tentacolare pronta a cibarsi delle molteplici influenze del duo, per restituirne una propria personale interpretazione.
VIAGGI SONORI, VISCERE MUSICALI
Se questa metafora vi piace, date un’occhiata al videoclip del primo singolo uscito, One Night/All Night, per rendervi conto che il rimando al body horror non è poi così fuori luogo. Nei tre minuti di piano sequenza la macchina da presa entra nelle viscere della croce, tra arterie venose ed organi pulsanti, rivelandone le rivoltanti interiora.
Se il primo assaggio è stato affidato proprio al brano con Kevin Parker, saranno contenti i fan dei Tame Impala di ritrovarlo nuovamente anche in Neverender, brano in cui le sonorità di The Slow Rush sono contaminate dall’esplosività tipica dei Justice. Nemmeno un attimo di respiro che si è gettati in Generator. Il secondo dei singoli rilasciati è un vero e proprio banger già destinato ad essere uno dei momenti più attesi dei loro futuri live set.
I primi brani lasciano immediatamente intuire quanto l’opera sia stata concepita come un vero e proprio viaggio sonoro da ascoltare dall’inizio alla fine, proprio come fosse quasi un concept album. Le tracce scivolano una dentro l’altra (già Incognito ci riusciva molto bene), alcune sono impreziosite da vere e proprie introduzioni – Harpy Dream, ad esempio, ha il solo scopo di lanciare Saturnine – ed i quattro singoli usciti acquisiscono nuovi significati se ascoltati nel contesto della tracklist.
I FEATURING
Impossibile, poi, non parlare anche degli altri featuring. Se già quello con Parker sembrava un mezzo miracolo, aspettate di ascoltare The End con niente meno che Thundercat o le ballabilissime Afterimage con la cantante RIMON e Saturnine con Miguel. Insomma, un duo che riesce a trasformarsi – di nuovo, come se fosse una mostruosa entità cangiante – a seconda del featuring di turno, dando vita ad innovative ed inaspettate interazioni sonore.
Come già ricordato, il sound dalle tinte notturne è sempre in costante bilico tra l’abrasività più hardcore, che rimanda a tratti proprio ai fasti di Cross (sì, sto pensando a Generator), e l’attitudine dance di brani come The End e Afterimage. Il tutto, impreziosito sempre da citazioni più o meno esplicite all’immaginario Sci-Fi che li ha resi celebri sin dagli esordi, amore poi sfociato addirittura nel film IRIS: A Space Opera by Justice. C’è spazio anche per un brano che, come ammesso direttamente dal gruppo, sembra essere uscito direttamente dalle atmosfere distopiche di Blade Runner: D’altronde il sax di Moonlight Rendez-vous non può non ricordare quel capolavoro di Love Theme di Vangelis.
In definitiva, se è ancora presto per capire se riuscirà a superare qualitativamente gli altri tre dischi, quello che è certo è che i Justice sono riusciti a mutare ancora una volta il proprio sound in qualcosa di nuovo, senza per questo tradire il proprio passato. Dopo più di vent’anni di carriera non è una cosa da poco, soprattutto se il livello si attesta sui picchi delle tredici tracce di Hyperdrama. Et Justice pour tous, amen.
