
L’enormità del rap di Murubutu
Ci siamo trovati nel centro di Piazza Sempione a Roma in occasione del tour Letteratura Rap di Murubutu, il talk dedicato all’incontro tra rap e narrativa. Oltre ad essere il re indiscusso del rap narrativo, riuscendo a prendere alcuni testi letterari come riferimenti cardine delle sue strofe, Murubutu è anche un insegnante di Storia e Filosofia del liceo di Reggio. Questa professione lo avvicina sempre di più alla vera vita degli adolescenti e, allo stesso tempo, riesce a condurre gli studenti stessi verso una connessione più pacifica con alcuni principi filosofici.
Prima del suo talk, seduti su due poltrone rosse e accoglienti, Cristiana e Murubutu si sono addentrati in un’intervista intima nel tentativo di esplorare la grandezza di uno delle penne più inattaccabili d’Italia.
L’INTERVISTA
Come va il tour Letteratura Rap?
È appena cominciato e il bello di questo progetto è che mi porta sempre in ambienti raccolti mostrandomi della roba incredibile che non avrei modo di vedere in altri concerti. Mi sono ritrovato in un centro studi dedicato solo all’Orlando Innamorato, oppure in un museo dei mappamondi del ‘700 a Stio. Mi dà molto più soddisfazioni di un live ai Magazzini Generali a Milano: così comprendo le ricchezze del territorio.
IL CONFRONTO CON L’ALTRO RAP
Come può una figura come la tua trovarsi bene con gli altri rapper che fanno qualcosa di totalmente diverso da ciò che fai tu?
Beh, veniamo tutti dalla stessa radice. Sebbene io faccia qualcosa di molto particolare, ci sono molti rapper appartenenti all’area conscious. La radice è la conoscenza di questo genere musicale, oltre al fatto che usiamo lo stesso medium espressivo. Ho fatto fatica a farmi accettare su una versione sistematicamente narrativa dell’hip hop, anche se poi si sono convinti perché lo storytelling è un genere che nel rap c’è sempre stato. Adesso i rapper tradizionali mi riconoscono di aver generato una versione solo mia del rap, e lo fanno con stima.
Ok, ma se esiste un rap come il tuo, come può coesistere un rap che è totalmente l’opposto?
Perché il rap è tante cose tutte insieme da sempre, era anche il rap divertente dei Fat Boys, era anche solo intrattenimento. Il rap ha sempre avuto a che fare con il mainstream, quindi ha una natura ibrida fin dall’inizi.
Il tuo no.
Ił mio è una versione del rap che ha scelto di essere in questo modo, ma anche io ho fatto testi più leggeri, ho fatto freestyle, perché la radice è la stessa. Adesso il rap che funziona di più è quello di intrattenimento, perché alcune persone vogliono divertirsi e cercare evasione nella musica, anche se poi arrivano a un punto di saturazione in cui ritornano verso la ricercatezza.
Negli artisti e nella musica, c’è sempre un passaggio perpetuo dall’illusione alla la disillusione. Specialmente quando racconti così tanto le cose, come fai te. Non credi?
Questo raccontare tanto le cose a volte è uno scudo, perché io non parlo mai di me, e quindi quando parli tanto di te e questa cosa viene sfruttata o non riconosciuta, è facile disilludersi. Io parlo sempre di altri.
LA NARRAZIONE
Qual è il tuo modo di narrare allora?
Ił mio è più indiretto, parlo di storie di altri, ma le dinamiche a cui vanno incontro sono comuni a tante persone. Ad esempio: la paura della morte, la speranza dell’amore. Faccio solo più fatica a parlare di me, mi sento più a disagio.
Spesso i rapper si autoimpongono un diritto all’essere speciali. Tu, invece, ammettendo di non parlare di te stesso, te lo stai togliendo.
Beh, certo, preferisco parlare degli altri, ma questo non mi rende speciale. Ho una forma di narcisismo anche io nel parlare degli altri, ma se permetti penso sia in tutti gli artisti. Io lo faccio solo in modo indiretto, a volte farlo è molto più efficace, perché devi scavare per trovare le cose, e quando le trovi è una grande soddisfazione.
Dov’è la forma di ribellione nel tuo rap?
Non fare ciò che gli altri si aspettano. Tu vorresti che io parlassi di parolacce o di cose aggressive? E io ti parlo di fiori. Voglio in qualche modo infastidire la loro ricerca della prevedibilità.
Non ti ha mai stancato la complessità dei tuo contenuti?
No, mi stanca farlo sempre alla stessa maniera. Voglio mantenere la stessa intenzione, ma con una modalità diversa. Multiverso ad esempio è espresso in modo diverso.
L’INSEGNAMENTO
Tu sei anche un insegnante di filosofia in un liceo – sono molto curiosa di assistere a una tua lezione a scuola. Cosa accade?
Voglio far capire ai ragazzi quanto la filosofia sia utile, stiamo costruendo degli strumenti per approcciare ad argomenti importanti. L’eutanasia e l’aborto, ad esempio, non li puoi affrontare senza degli strumenti di questo tipo.
E loro come rispondono?
Loro riconoscono che ci vuole una strumentazione adeguata, poi laddove c’è sensibilità e curiosità allora attecchisce bene.
Introduci il rap nelle tue lezioni?
No, ma parło tanto di rap con i miei studenti perché mi tengo molto aggiornato e a loro questa cosa stupisce moltissimo. A volte dedichiamo delle lezioni perché dal rap poi si può arrivare a parlare di altro, soprattutto perché è un alfabeto condiviso con loro. Così facendo abbiamo un terreno comune, d’altro canto sono un docente, ho una carica, gli do i voti, li rimprovero, quindi c’è sempre una barriera tra di noi, ma quando parliamo di rap la barriera crolla.
Com’è strutturata una tua lezione?
Io inizio sempre dalla biografia, perché lì c’è la storia di tutti, alcune si prestano ad essere utilizzate per la spiegazione del pensiero, e poi dopo comincio a introdurre i concetti principali e a far capire come questi possono avere una ricaduta sull’interpretazione della realtà.
Che modelli seguono di rap?
Kid Yugi, Diss Gacha, Lazza, Tedua, tanta trap, poi anche i soliti Salmo, Marracash. Due che mi piacciono di questa nuova wave sono Bresh (mi piace la sua tensione cantautorale) e Nayt, ha un bellissimo controllo della voce e un profondo eclettismo.
Quale rapper porteresti nelle tue lezioni?
Porto Rancore, Carlo Corallo per il rap narrativo, potrei portare anche certi pezzi di Marracash e Caparezza. Poi solitamente chiedo ai ragazzi di portarmi dei pezzi. Quello che gli chiedo è: quand’è che una canzone vi ha incantato così tanto da credere alle sue parole? Mi interessa molto sapere quali sono le parole che li incantano attraverso la musica.
Esiste della musica che ti emoziona senza parole?
Muru: Einaudi. Elettronica no, perché sono un anti cassa dritta.
LA NUOVA GENERAZIONE
C’è un modo per cui la nuova generazione possa avvicinarsi a questa sensibilità artistica che manca e che è più vicina a te?
Combattiamo contro un gigante: l’industria, le mode, i social. Paradossalmente l’unico vero contraltare contro questo gigante è la scuola. Nonostante tutto, la scuola ti insegna ancora la ricerca, l’approfondimento, la pazienza, la gradualità, la collaborazione e lo fa tutti i giorni. Quindi anche se ne esci perdente, è l’unico vero antagonista dei social.
È ancora troppo debole però.
Sì, però è l’unica.