Cutouts. Vita e miracoli di una musica geniale

Sedetevi, vi devo dire una cosa:

I RADIOHEAD NON SONO MAI ESISTITI
I THE SMILE NON SONO MAI NATI
THOM YORKE E’ SOLO UN NOME

Vengo da una sacrale e rigida clausura in una stanza di 10 metri quadrati. Una sola finestra che da su alberi e pali della luce. Una cassa. Un computer. Un pacchetto di sigarette. Acqua quanto basta.

Non so per quanto tempo sono rimasto lì dentro. Ma ho riascoltato l’intera produzione musicale legata al genio di Thom York. Dalle verves grunge di Pablo Honey, primo album dei Radiohead del 1993, a Cutouts, terza e, per ora, ultima creazione dei The Smile, il nuovo progetto di Thom Yorke e Jonny Greenwood (chitarra dei Radiohead). Di mezzo tutti gli exploit da solista di Yorke. 

31 anni di musica.

Al termine della mia esperienza spirituale (o delirio), ho ricevuto una lampante epifania:

Nessuna di queste tre entità musicali esiste davvero. Sono solo etichette. Volti indossati da un unico inscindibile processo.

(Ma spieghiamo usando la logica.)

L’esistenza individuale si basa sulla persistenza di un’identità, e l’identità per ovvi motivi si costruisce per alterità. Per spiegarci meglio: “Io sono altro rispetto al resto, e per questo io sono qualcosa, di unico ed identificabile. Esisto.” Ma tra Radiohead, Thom Yorke e i The Smile non sussiste alcuna differenza ontologica. Sono la stessa sostanza, la medesima identità cangiante ed indivisibile, che da più di tre decadi si manifesta e ci parla. Quindi, presi separatamente, non esistono.

(Adesso andiamo sul mistico.)

Sono certo che siano tre proiezioni fisiche adoperate da una misteriosa forza sovrumana per codificare e organizzare il suo messaggio, in modo che i comuni mortali possano recepirlo. E’ musica nella sua accezione più sovrannaturale. Tanto umana, quanto non lo è. E non sappiamo perché sia qui o perché si interessi a noi.

IL VIAGGIO INTERGALATTICO COME FOTOGRAFIA DELLA SOLITUDINE UMANA

La traccia d’apertura di Cutouts, Foreign Spies è un’esperienza interplanetaria, una navicella spaziale che si perde nel profondo buio, risollevata solo da sporadici barlumi di stelle lontane. E’ intuitiva la connessione con le melodie elettro sintetiche sperimentate da Thom Yorke nel concept album di Anima, ed in particolare nel singolo Last I Heard (recuperatelo se lo avete perso).

Anche stavolta, la solitudine è protagonista indiscussa. L’individuo galleggia da solo verso la deriva, in un mare di silenzio in cui annegherà lentamente. Mentre forze segrete osservano, tramano e 

“They’re grabbing kitchen knives every time our backs are turned”

LA CINEMATOGRAFIA DI QUESTA MUSICA

La musica dei Radiohead ha sempre avuto un potere evocativo disarmante. Una tessitura incessante di trame dai colori vividi. Visioni da fare invidia a qualsiasi psicostimolante prescritto dal più rigoroso spacciatore di quartiere. Certi film mentali che farebbero strabuzzare gli occhi alla giuria del Festival di Cannes.

Soprattutto nella fase solista, Yorke ha sublimato tale arte in creazioni che hanno il piede nella staffa del cinema non meno che in quella della musica. E di fatti nei film, quelli veri, ci è finito. Il suo lavoro di compositore per Suspiria, la pellicola di Luca Guadagnino, gli esperimenti nel progetto Anima al fianco di Paul Thomas Anderson, e anche la più recente collaborazione, tutta italiana, per il film Confidenza. Sono stati fenomenali banchi di laboratorio per la sperimentazione cinematografica di questa folle anima musicale.

E tutto questo citoplasma di suoni è straboccato direttamente nei The Smile e in Cutouts. 

Che potrebbe essere l’album più brillante dell’ultimo anno, come la colonna sonora del prossimo miglior film ai Golden Globe (solo perché gli Oscar sono troppo mainstream). 

Il risveglio di archi che annuncia Instant Psalm me lo immagino ad aprire la prima scena del film The Master di Anderson, con un Joaquin Phoenix ripreso dall’alto mentre dorme sulla cima di una nave in mezzo ad un mare azzurro e schiumoso. Il tutto irradiato da una luce bianca, accecante. Lo scambio tra archi e sintetizzatori crea una nube onirica, che annebbia i sensi ed innesca un’estasi lisergica. 

We overflow in a hurricane

We can feel no pain

It’s so close that we disappear

Ho la pelle d’oca e non capisco più se sono sdraiato su un tappeto o galleggio nella Fossa delle Marianne. 

HACKERARE IL MATRIX

La voce che ci parla in Cutouts è clandestina, ci sussurra nell’ombra o in sogno, esattamente come nei radioheadiani Ok Computer e Kid A o nell’album solista di Yorke, The Eraser. Oscilla tra il criptico e l’esplicito, in un ritmo tourettico che alterna immagini chiare ad enigmi da sciogliere. 

Comunica in un codice che solo la sensibilità umana recepisce: sono messaggi che non possono essere colti dalla logica, ma solo decodificati dall’emotività. Cosicché il sistema macchina che ci circonda e gli uomini-ingranaggio che lo popolano, incapaci di tale lettura, non possano intercettarne il contenuto. 

La voce ci avverte di una fine che si avvicina, se non fermiamo questa cruenta meccanizzazione dell’essere umano. La sua estinzione avverrà non per mano delle macchine, ma sua, che in macchina si è tramutato. Lobotomizzato dai monitor, annichilito dalla logica, ed isolato nel suo armadietto in attesa di servire il sistema, come niente di più che un maledetto aspirapolvere. 

(Thom Yorke aka Morpheus nel tempo libero)

DENSITA’. SINUOSITA’. RABBIA

Un albero antico e nodoso, che cresce e si ramifica in geometrie contorte. Al culmine, dove tutti i rami si riuniscono, svetta Cutouts, un album denso: il groviglio sublime di trent’anni di contaminazioni e storia. 

In Colours Fly i ritmi jazz della batteria di Tom Skinner si mescolano ai riff arabeggianti, figli della recente esperienza medio orientale di Greenwood. La voce di Yorke è un eco spettrale, ancora si trascina dietro quell’aura esoterica che l’ha resa iconica. Il risultato che ne viene fuori è sinuoso, quasi sensuale, e poi tutto ad un tratto rabbioso. Rumori striduli e taglienti ci infilzano le orecchie, mentre il coro sale, la chitarra incalza ed una tormenta di suoni ci investe. Probabilmente uno dei pezzi più riusciti della raccolta.

Se parliamo di contaminazioni è impossibile non citare anche The Slip, che con quel ritmo sincopato e la perfetta alternanza di rock ed elettronica, potrebbe essere uscito dall’album dei Radiohead , In Rainbows (2007), musicalmente parlando il più “estetico” ed accessibile di tutta la discografia. 

Nulla del passato è perso

Questo flusso musicale intelligente corregge e rimescola ogni sua metamorfosi. Assembla suoni e creature sempre nuovi. Lasciandoci eternamente appesi alla speranza: cosa si inventerà la prossima volta?

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Aspirante giornalista, ma gran potenziale da disoccupato. Nemico giurato del dono della sintesi, ma stiamo trovando un accordo di pace per il bene dei lettori e di chi mi incontra nei pub. Radiohead, Bowie, Lamar, Strokes, Frah Quintale e Charles Aznavour troneggiano imperterriti nella mia playlist, trovate voi un filo conduttore, se riuscite. Diffido da chi non apprezza un buon gin tonic ed il potere rigenerante del latte e menta (entrambi rigorosamente con tanto ghiaccio). Guarda a destra, ora a sinistra. Dietro, e adesso dritto di fronte a te. Sai come si torna a casa tua? No? Ti crea disagio, terrore? No? Bene, sei finalmente libero, ora corri e goditi il mondo, audace fino alla fine.