
Ci siamo rott* di questa musica disimpegnata
Abbiamo bisogno di musica coraggiosa, che parli al nostro tempo e del nostro tempo, per cambiare il nostro tempo. E magari anche quello che verrà.
L’insostenibile leggerezza dell’industria musicale
Lo scorso 6 maggio il rapper statunitense Macklemore ha rotto l’internet con Hind’s Hall, canzone in cui prende esplicitamente posizione sulla situazione israelo-palestinese e sulle contraddizioni della società occidentale a riguardo. È stata un’operazione importantissima non solo per la chiarezza con cui fa certi nomi, ma anche perché ha portato sul tavolo alcuni discorsi che, oggi più che mai, rischiano di rimanere seppelliti sotto uno spesso strato di polvere, foglie secche, algoritmi, visualizzazioni, dissing machisti ed egoriferiti, censura più o meno lampante, musica leggerissima e piattaforme assetate di denaro.
“Music industry’s quiet, complicit in their platform of silence […] I want a ceasefire, fuck a response from Drake”
Così, mentre Drake e Kendrick Lamar (due degli artisti più importanti a livello globale in questo primo quarto di secolo) fanno a gara a chi ce l’ha più lungo, a chi insulta l’altro in maniera più cattiva e catchy, aizzando inutilmente odio in uno scenario che ne è già saturo, la scelta di Macklemore diventa se possibile ancora più cruciale, perché ci dimostra che un altro modo di fare rap, musica, arte (anche a livello mainstream) è possibile.
Macklemore ha bussato sugli schermi dei nostri smartphone, e nelle nostre cuffiette, per ricordarci che la fama è un megafono, e che per forza porta con sé una certa responsabilità, più o meno grande a seconda del seguito che hai. E, aggiungiamo noi, se non sei dispost* ad accollartela, questa responsabilità, allora forse faresti meglio a fare altro, no? Oh ipocrita artista – mon semblable, mon frère (semicit).
perché La realtà è che ci siamo rott* di questa musica disinteressata, deresponsabilizzata, disimpegnata.
Musica disimpegnata, anche nel senso di musica da disimpegno. Che se ne sta lì, in mezzo, tra soggiorno, cucina e camera da letto. Neutrale, e sempre senza intoppi per permettere il passaggio (di streaming, di denaro) da una stanza all’altra.
Sia chiaro, non c’è nulla di male nell’intrattenimento, se fatto come si deve. Non bisogna per forza scrivere canzoni che parlino di massimi sistemi o di drammi interiori o chissà che cosa. Però è possibile prendere posizione in maniera creativa, fare di se stess* e della propria arte un veicolo di messaggi urgenti.
Ed è possibile anche in Italia, persino nel clima quasi-fascista degli ultimi anni. Ci sono tantissimi esempi in merito: chiedere a Cosmo, che già prima dell’ultimo concertone aveva detto sul palco di Sanremo “stop greenwashing” in faccia allo sponsor Eni (anche se forse dovremmo dire Plenitude? Ehm ehm). Oppure, per rimanere in tema Festivàl, chiedere a Dargen e Ghali, o a Mara Venier, a seconda delle preferenze.
Quello che in generale manca ancora nella scena italiana (e che certamente non è mancato a Macklemore) è il coraggio di esporsi anche a costo del proprio interesse. In effetti, le tematiche sociali portate avanti dai grandissimi della musica italiana sono tendenzialmente quelle facilmente monetizzabili, o quelle più pop. Il risultato paradossale è che le tematiche controverse sono affrontate più spesso e con più chiarezza da emergenti, che hanno di solito meno da perdere e meno voglia di abbandonare i propri ideali… prima che i soldi e la notorietà rendano anche loro marionette in mano ad un sistema marcio.
AAA. arte coraggiosa cercasi
Abbiamo bisogno di una musica impegnata, che si faccia carico della complessità del mondo che abita. Che non cerchi compromessi, né scorciatoie. Abbiamo bisogno di arte coraggiosa, di rottura, che guardi al presente con rabbia critica, e al futuro con dolcezza speranzosa. Abbiamo bisogno di artist* che portino punti di vista originali e nuovi, narrazioni diverse e divergenti. Che non seguano trend solo perché il carrozzone funziona e ci vogliono salire (o rimanere sopra) anche loro. Artist* che, per citare il rapper e poeta Alberto Dubito, scrivano “il nostro tempo prima che sia lui a scrivere noi”.
Per altri articoli clicca qui.