
Cerco un posto tranquillo… (grazie LUCA COI BAFFI).
“Ciao a tutti, sono tornato in città per annunciare l’uscita del mio secondo EP, giovedì 9 gennaio…
Vi auguro un felice anno nuovo all’insegna dell’ascolto, quello vero, dell’altro, di sé.
Un abbraccio. Ci risentiamo.“
Nell’era della pompa magna, delle anticipazioni, trailer, interviste, della tirannia dei social media manager, in cui la strategia comunicativa conta più del messaggio da trasmettere. Luca coi Baffi, senza troppi stornelli e fumate bianche, ci ha annunciato l’uscita del suo secondo EP ufficiale, Basta sia fuori città.
In un post di Instagram. Uno solo. E sono certo lo abbia anche scritto controvoglia. Tra l’altro con una sua foto, che sembra il manifesto da ricercato di un ladro di patate nella campagna laziale del 1800.
La scorsa settimana mi sono imbattuto in 5 storie e un post di un artista emergente (ancora al primo singolo) che rassicurava i “fan” sulla sua “brutta influenza”. Una notizia che ha scosso il mondo della musica nelle sue fondamenta. Siamo alla demenza. Ma questo è il business dell’immagine, a cui ogni artista deve sottostare al tempo dei social.
Luca, a quanto pare, continua a dire: no.
MUSICA MALINCONICA PER STRADE EXTRAURBANE
Basta sia fuori città, è un album di malinconia, che è la sensazione più complessa e assolutamente semplice che esista.
Complessa, in quanto contraddizione di emozioni: è nostalgia e proiezione futura, rabbia e accettazione, tristezza ma felicità, estasi nella sofferenza. Un po’ di tutto e di fatto niente.
E poi è semplice, perché non la puoi scomporre, sviscerare o psicanalizzare. La puoi solo vivere. Con la malinconia non ci parli, tantomeno le fai domande. Perché non è nemmeno un’emozione, ma ciò che sta sotto, e che viene fuori quando smetti di distrarti: è il silenzio lontano dalla città, un vuoto fuori dal tempo e dallo spazio, dove rimani solo con te stesso, senza difese, filtri o travestimenti.
Se riesci a dare un suono a quel silenzio, avrai creato la musica più che vera ed intima che possa esistere. E Luca, a modo suo, lo fa.
ACCETTARE QUEL TIZIO NELLO SPECCHIO
“Non c’è più niente da fare. Non c’è più niente da fare…eeeh”
Niente da fare sembra una filastrocca da imparare a memoria, da ripetere ogni mattina prima di andare a scuola, come quando eravamo bambini. Ma bambini non lo siamo più, e così la ripetiamo dopo una notte insonne, davanti lo specchio, mentre proviamo a farci la barba, ma ci tagliamo ancora, perché nostro padre non ce lo ha mai insegnato, o forse non eravamo attenti. Da piccoli pensavamo già troppo per essere piccoli, e ora invece siamo troppo confusi per sentirci grandi.
Sembra che non ci sia un’età giusta per noi, sempre in anticipo o in ritardo. Questo album è per chi si sente così, mai dell’età che dovrebbe avere.
Ma almeno una cosa da grandi Luca la fa: ACCETTARE.
Accettare che nel bagno non ci sia più lei. Accettare di essere stato un coglione. Accettare che vivere con sé stessi ha delle conseguenze. Ed è inutile colpevolizzarsi, quanto odiare il fato, perché in qualsiasi modo si scelga di vivere, campare comporta la certezza di sbattere il muso, e di tanto in tanto, ferire qualcuno tanto incauto da volerci bene. Ma meglio campare con qualche vecchio taglio e l’amaro in bocca, che non svegliarsi affatto.
Quindi
“Non chiedo scusa neanche a dio. Non chiedo scusa neanche a me”
UN VECCHIO RULLINO BRUCIATO
La musica di Luca non si cementifica in concetti, ma rimane flusso liquido di visioni e stimoli. Le metafore si incastrano alle note distorte della chitarra e alle smorfie dei sintetizzatori. Creano immagini sinestestiche che si disfano e ricreano senza sosta. Ricordi sbiaditi, visi perduti, luoghi, suoni e odori andati. Sembrano foto di un vecchio rullino conservato male. Gli scatti sono bruciati ai bordi, hanno un’aria surreale, giallastra, eppure sono ancora lì, nella memoria, anche se non te ne sei mai preso cura. Straboccano dalla testa agli occhi, che li proiettano sul soffitto come fosse un documentario di tutti quei frammenti minuscoli di vita a cui non avevi mai prestato attenzione.
E’ dannatamente intimo, come la malinconia richiede, del resto.
TESTAMENTO D’AUTORE
Nell’ultima canzone dell’EP, Sotto le nuvole, Luca si piace da matti nella veste di ultimo poeta, e piace anche a me. Il suono è distorto, la voce flebile e metallica, così lontana, ma riesce comunque a sfiorarti la pelle, quel tanto che basta a farla tremare. Ci parla da un nastro sepolto sotto un albero, in attesa che qualcuno lo scopra per caso, magari dopo una giornata passata a respirare a pieni polmoni, coi piedi scalzi, il cuore leggero, sotto le nuvole.
Questa delicatezza così effimera, alla Tenco, ipnotizza, ti trascina senza afferrarti. Dove? Basta che sia fuori città, dove potremo semplicemente parlare, senza badare al resto.
puoi nascondermi in giardino o sotto le nuvole,