
Brat: il rave eterno di Charli XCX
l’hyperpop è morto. lunga vita all’hyperpop.
Party girl, pop icon, internet it girl, brat… difficile tradurre in italiano l’attitudine di Charli XCX. Nel corso degli anni si è ritagliata uno spazio sempre più importante nella cultura popolare e nell’industria musicale, rimanendo però per molti versi un outsider. Propone un modello di pop d’avanguardia che include elementi sperimentali, elettronica massimalista e ritmiche accelerate. E ancora, melodie ripetitive e martellanti interrotte da glitch improvvisi, errori digitali e voci a tratti robotiche. La colonna sonora perfetta per una società in transizione verso l’euforica distopia cyberpunk predetta nello scorso millennio da William Gibson e soci.
brat
Dato che a Nanni Moretti verrebbe un colpo leggendo l’inizio di questo articolo, traduciamo con lo storico dizionario americano Merriam-Webster il titolo dell’ultimo album Brat, uscito il 7 giugno 2024 per Atlantic Records. Il 10 giugno è stato seguito dalla versione deluxe dal titolo esplicativo e sillogistico Brat and it’s the same but there’s three more songs so it’s not.
Brat:
a) Child. specifically : an ill-mannered annoying child;
b) an ill-mannered immature person.
Insomma, un monello, un combina guai, un ragazzino viziato, una persona immatura che si comporta male. In questa definizione, che mescola infanzia ed età adulta, si muove il contrasto protagonista di tutto il disco. Ci troviamo tra una spavalda sicurezza di sé quasi ossessiva rivolta verso il mondo esterno. Proprio lì dove la maschera cade e le vere difficoltà e insicurezze (spesso infantili e irrazionali) emergono.
MORTE METAFISICA?
Nell precedente album Crash del 2022, Charli si presentava come una bad girl/femme fatale uscita da un universo anni ’80 a metà tra Janet Jackson e Cronenberg. Acconciature ariose, schianti automobilistici e sensualità dirompente. Dopo la definitiva morte dell’hyperpop di How I’m Feeling Now del 2020 dichiarata ufficialmente su twitter l’8 agosto 2021, la musicista inglese cambia di nuovo pelle riproponendo un sound che torna più a Pop 2 e Charli. Non dimentica però la sperimentazione massimalista di How I’m Feeling Now e soprattutto dell’ep Vroom Vroom del 2016 in collaborazione con SOPHIE. Ovvero la regina indiscussa dell’hyperpop e della scena clubbing inglese, morta il 30 gennaio ’21 cadendo dal tetto della propria abitazione ad Atene, dopo essersi arrampicata per guardare meglio la Luna. Una morte poetica? una morte stupida? Mi piace pensare che Milan Kundera l’avrebbe definita una morte metafisica, come scrive nell’Insostenibile Leggerezza dell’Essere.
mother is back mothering
Introdotto dai singoli Von dutch e 360, oltre che da un glorioso Boiler Room dal nome PARTYGIRL tenutosi a Brooklyn il 22 febbraio 2024, Brat, stilizzato nell’iconica copertina verde acido a bassa definizione, è un manifesto al clubbing e alla rave culture da cui Charli proviene. Tra l’altro, il font ha attualmente modificato anche le copertine degli album precedenti su Spotify e di cui è stato anche condiviso un brat generator.
Già il video di “360”, primo brano dell’album, riassume l’iconicità ormai raggiunta attraverso un dream team di internet personalities, musiciste e attrici. È stato definito dalla rivista Dazed come “Mother Cinematic Universe”, come spesso viene chiamata dalla sua fanbase (nessun riferimento a Dario Moccia insomma). Ha coinvolto Rachel Sennott (Shiva Baby, Bottoms), Chloë Sevigny (Boys Don’t Cry, Zodiac, Bones and All), Julia Fox, Emma Chamberlain, Gabriette, Alex Consani, A. G. Cook, producer degli album di Charli e fondatore dell’etichetta PC music, Cloe Cherry (Euphoria), Isamaya Ffrench, Salem Mitchell, Hai New e Richie Shaza, in una esplosione dance la cui “legacy is undebated”.
CE NE FOTTIAMO?
Tutti personaggi a lei legati da una sorta di community di outsiders e ribelli (in cui includere anche Addison Rae, tiktoker che ha partecipato al remix di “Von Dutch” con l’ormai iconico strillo improvvisato in studio, oltre che Robyn e Yung Lean che hanno lavorato al remix di “360”). Si muovono liberamente ai margini di un sistema dove tutto sembra sempre più stretto, controllato e finto, in un gioioso menefreghismo verso le regole dell’industria culturale (come la chiamerebbero Adorno e i critici della Scuola di Francoforte) pop.
famous but not quite
Il mood iniziale con “360” e “Club Classics” (“I wanna dance to Me”, “I wanna dance to A. G.”, “I wanna dance to SOPHIE” e “I wanna dance to HudMo” continuano a rimarcare l’appartenenza a questa subcultura) può sembrare quindi quello di un’autocelebrazione esagerata ed ironica. Presto, però, emerge l’altro lato di Brat, quello invece più diretto ed intimo. È sempre nell’impianto bambinesco tra euforia sopra le righe e autenticità senza filtri che si muove tutto il disco. Si alternano hit massimaliste e giocose in cui viene ripetuto ossessivamente “I’m your number one” come nel continuo saliscendi elettronico di “Von Dutch”, a momenti in cui Charli rivela le sue insicurezze relative al suo status e al suo posto nella music industry, da cui nonostante il successo si sente ancora per certi versi esclusa.
In “Simpathy is a Knife”, decisamente tra i pezzi più memorabili e pop dell’album, sembra infatti emergere la sensazione di una sorta di complesso di inferiorità che non riesce a spiegare e spiegarsi verso una figura che non viene esplicitata. Vari (molti) indizi nel testo potrebbero far ricondurre a Taylor Swift, artista principale di quell’industria musicale da cui Charli si sente ai margini e nei cui confronti si sente all’estremo opposto. Questa insicurezza è quella che la porta a volte a pensare di tornare indietro (“Rewind”) a quando non era insicura del proprio successo ma anche del proprio fisico e del proprio aspetto. Tutto sembra finire in una sorta di catena di ansie contemporanee che si evocano a vicenda.
MOMENTO UMANO
“I Might Say Something Stupid” in questo senso riassume il momento più vulnerabile dell’artista. Si sente “perfect for the background”, “famous but not quite”, a metà tra popstar mondiale e una persona normale. È forse il momento più umano e sincero del disco, cantato con una voce sintetica così effettata da ricordare più l’IA assassina GLaDOS che intrappola gli umani/cavie in infiniti puzzle mortali della serie di videogiochi Portal che un essere umano, in una versione triste e abbattuta della incredibile hit “Still Alive” che conclude il primo capitolo del 2007.
it’s ok to cry
Mai come in questo album da parte di Charli sembra esserci un vero e proprio rifiuto di qualsiasi forma di poesia o retorica nei testi. In un contesto musicale mainstream in cui sembra sempre di più che si usino parole banali per parlare di cose complesse ed espressioni ricercate per parlare di cose banali, Charli non accetta compromessi cercando di esprimersi nel modo più diretto possibile, sia nel caso dei momenti più “bossy” che in quelli più aperti e sensibili.
Come ha condiviso anche con Billboard infatti:
“This album is very direct. I’m over the idea of metaphor and flowery lyricism and not saying exactly what I think, the way I would say it to a friend in a text message. This record is all the things I would talk about with my friends, said exactly how I would say them.”
Questo concept che si può notare in tutto il disco, rimane anche nella canzone sentimentalmente più carica, “So I”, dedicata proprio a SOPHIE, che Charli si pente di avere in parte respinto quando era in vita, quasi spaventata dalla sua aura di magia. Anche in questo caso non c’è spazio per la retorica e il testo sembra quasi un sms verso l’aldilà a cui non può esserci risposta. Riprendendo il singolo del 2017 tratto dalla più importante pietra miliare degli ultimi anni Oil of Every Pearl Uninsides, “It’s Okay To Cry”, Charli le scrive:
(And I know you always said) “It’s Okay to Cry”
So, I know I can cry, I can cry, so I cry.
E inaspettatamente in mezzo a un rave di suoni sintetici senza sosta piangiamo anche noi.
365 partygirl
Tra romantici viaggi a Sorrento che da un sample quasi new romantic anni ‘80 della title track di Vultures di Kanye West e Ty Dalla $ign esplodono nelle decostruzioni elettroniche e nel ritornello a cassa dritta di “Everything is Romantic”, fino ad una sorta di mix tra la hit dancefloor di David Guetta “Sexy Bitch” che trasmuta in un piano prog che sembra riprendere “Owner of a Lonely Heart” degli Yes in “Mean Girls” (sì, è davvero strano come sembra). Si arriva poi alla riflessione con il suo rapporto con la popstar Lorde con cui spesso viene scambiata in “Girl, So Confusing”; Brat è un album vivace e schizofrenico, incapace di annoiare e sempre sull’orlo di un precipizio sonoro che come un tornado spazza via qualsiasi cosa.
Le ultime due canzoni dell’album sono lo specchio più evidente di questa dinamica schizofrenica e apparentemente in continuo contrasto. In “I Think About It All the Time” Charli apre sorprendentemente ai suoi dubbi all’idea di avere un figlio, in maniera come sempre senza filtri e senza risposte. È una dolce ballata sintetica e ritmata da un beat martellante di una sincerità che lascia spiazzati.
IL LOOP
La traccia successiva che conclude l’album sembra invece evocare lo spirito più opposto possibile, dando a brat l’aspetto di un loop eterno che si ripete con una versione infernale della prima traccia, “360”, che diventa “365”. Un party infinito di 365 giorni tra accelerazioni improvvise e cocaina in un crescendo distorto che non fa rimpiangere il massimalismo del finale di “Visions” in How I’m feeling Now. Un loop di feste infinito, in cui il sample di “360” ripetuto ossessivamente diventa una presenza spettrale e inquietante, dissonante e fuori posto. Hauntology music applicata alla dance floor, disgregazione temporale e fisica in una danza sfrenata di fantasmi digitali. Una sveglia per il giorno dopo, un altro giorno di festa di un rave senza fine.
