
Riviera: l’insospettabile virtù di sapersi incazzare
Ripartiamo da qui. Di rabbia ce n’è ancora
Eccome se ce n’è amici miei. Una quantità sufficiente ad annientare per sempre la razza umana, ma anche a salvarla da se stessa. Sta a noi scegliere quale via percorrere. Sicuramente dobbiamo trovare un modo di conviverci, perché fuggirle equivarrebbe a scappare dalla vita, utopia. E reprimerla, ti avvelenerebbe il cervello come un parassita. E prima che te ne renda conto, potresti diventare una di quelle madri single ultra quarantenni, che millanta di aver trovato la pace interiore grazie a Dharma, yoga, erbe e concerti di sitar, mentre si imbottisce segretamente di Xanax per non ammettere che è ad un ooom dal burnout più totale.
Però c’è una terza strada. Quella che mi hanno indicato i Riviera, pietra miliare dell’emo rock in Italia, mentre ascoltavo il loro ultimo album, SEMPRE:
Usala quella cazzo di rabbia. Perché ti ammazza solo se la lasci inerte.
Rancore, odio, rimpianto, ossessione, violenza. Tutto ciò che siamo abituati ad etichettare come rabbia, non è altro che lo scarto organico e purulento di un sentimento avvizzito, che non ha mai trovato la sua via d’uscita. Allora tiriamolo fuori, ed usiamolo. Perché, come il fuoco, potrebbe incenerire il nostro mondo. Ma se impariamo a controllare la rabbia, questa può essere la torcia a cui aggrapparci quando arriva la notte. Impariamo a brandirla per immergerci e scandagliare la gelida oscurità dei nostri traumi, delle nostre fobie. E sciogliamo col suo calore le nostre maledette gambe congelate dai dubbi.
La rabbia non si combatte, le si stringe la mano e ci si fa un accordo: io ti lascio uscire e tu non mi divori.
L’album è la sublimazione di questo patto. Come lo è per sua natura la musica, no?
Ecco a voi Sempre
La cavalcata sfrenata dei Riviera in SEMPRE si apre con un marasma di chitarre tormentate, che incombono come la madre delle tempeste. In mezzo all’occhio del ciclone, in piedi sotto la pioggia, Andrea Vasumini, inamovibile, eroico, si fa largo nel vento con la sua voce. Un urlo rabbioso, uno slancio vitale liberatorio, che resiste senza sosta al caos degli eventi. Ci ricorda che finché soffriamo siamo ancora vivi, e se lo siamo, dobbiamo combattere per la nostra pace.
La voce del solista non è mai disperata o fuori controllo. Cavalca una rabbia controllata, ammaestrata con gli anni, che non cerca più distruzione, ma soluzioni. L’album insegue ricordi, silenzi asfissianti, addii irrisolti, la paura di crescere. Ci scava dentro, li gonfia a dismisura e poi li lascia esplodere. Alla fine dei suoi venticinque minuti, mi rimane solo la stanchezza beata di un sano coito rabbioso. Improvvisamente mi sento me stesso e non più la pantomima delle mie ansie e del mio rancore. Ho usato la rabbia in modo sano, e per oggi mi sento meno incazzato, stranamente innamorato della vita. Magari vi ascoltate l’album e vi fa lo stesso effetto.
La terapia di gruppo è finita. Fatevi un bell’urlo e uscite di casa.
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